Come ho capito che potevo brillare di più. La vera storia di come ho incontrato il buddismo.

07.12.2014 14:49

Nel 2005, dopo una vita da rockstar di quartiere con qualche punta di notorietà dissipata nel vento degli anni, perdo mia madre Misses. Nel 2008 sono in ospedale con Senior, mio padre. La preoccupazione che gli leggo negli occhi riguarda me. Sono un uomo di oltre quarant'anni, eppure gestisco la mia vita come una moto impazzita in curva. Vivo di piccole truffe e poche altre cose interessanti.

Nel 2009 mio padre è morto da un anno e io continuo a infossarmi. Ho un'amica. Si chiama Perla e discutiamo di buddismo da tempo. La ascolto, noto vicinanze al mio pensiero, ma alla fine dei conti non mi interessa molto.

Un giorno sento il campanello. Sono i carabinieri che mi avvertono di essere a conoscenza dei miei traffici. Offro loro un caffè, ma quando se ne vanno, nella mia mente nulla è cambiato. Sono arrogante e presuntuoso. La legge degli uomini non mi fermerà. Ne sono al di sopra.

I mesi passano e a un certo punto vedo il collasso totale della mia esistenza. Rischio anche lo sfratto da casa e non ho un soldo. Vivo con il cibo che mi passa la mia amica e l'alternativa è diventare un barbone.

No. Non posso fare questo alla mia vita. Penso.

Un giorno a pranzo, Perla mi indica una donna. Si chiama Sorriso. Pratica da molto tempo e ha un gruppo buddista.

Dopo due giorni è al bar e le parlo. Mi risponde che se voglio andare a un meeting la porta è aperta e nessuno mi chiederà il conto.

Perfetto. Vado.

A quel primo incontro parlano di Legge mistica. La chiamano Nam myoho renge kyo. Dicono che io, come tutti, sono speciale e capacissimo di affrontare qualsiasi cosa aprendo gli occhi e il cuore.
Sono tutti pazzi. Penso, ma continuo a incuriosirmi.

Qualche giorno dopo vado a una recitazione di gruppo. Sono tutti rivolti a mani giunte davanti a una pergamena strana con caratteri giapponesi sopra. Hanno una specie di rosario tra le mani e ripetono nam myoho renge kyo all'unisono e con una certa musicalità che mi risuona nel petto diffondendosi nella stanza.

Rimango seduto e un po' turbato, ma loro mi salutano sorridendo e mi offrono caramelle e acqua.

Sorriso mi si avvicina, sussurrandomi che se voglio, posso stare in silenzio, ma che se proverò anche io, nulla andrà peggio di come sta già andando.

Mi fido e comincio. Mi guardo un poco attorno.

Sono scemo. Lo so.

Alla fine suonano una campana, mi danno un libretto e mi dicono di leggere con loro. Andranno piano, perché ciò che vedo sulle pagine è incomprensibile e loro sanno che non capirò nulla.
Fidati. Mi dicono. La tua
buddità capisce lo stesso.

Uscito dalla casa della pergamena che chiamano Gohonzon, sono un poco stordito ma mi sento bene. Non è successo nulla di magico, ma tornerò. Quella nenia recitata è davvero interessante.

Passano i mesi e un turbinio di cambiamenti mi sferza l'animo. Sento davvero il motore della vita prendere i giri. Quella pratica, quel riconoscermi in una parte meravigliosa dell'universo e allo stesso tempo l'universo intero, mi riporta in circolo. Studio, perché per entrare davvero dentro alle cose, per capirle, devo studiarle. Non posso certo prenderle come oro colato. La prima cosa che mi insegnano infatti, è di comprovare tutto e rispondere ai dubbi applicando i principi buddisti alla quotidianità. Imparo a essere semplice e immediato. E' un lavoro difficile, ma è il cuore finalmente a guidarmi.

Nei mesi a venire mi buttano fuori di casa. Vado a dormire in un appartamento di campagna in prestito da un amico.

 

E' il 2011.

 

Approfondisco sempre più la pratica. Non manco di recitare tutti i giorni almeno un'ora.

Leggo, studio e metto nel mio contenitore. Capisco che le azioni degli anni addietro arriveranno a schiaffeggiarmi, ma non ne ho paura, quel karma me lo sono caricato da solo sulle spalle. La responsabilità è mia e non della sfortuna. Finalmente non mi sento più quell'arrogante al di sopra della legge. Ho tolto la maschera e non incolpo più l'ambiente e le circostanze.

Finalmente sono il protagonista della mia vita. Capace di guidare il mezzo anche con i dubbi che ne conseguono.

A gennaio 2012 decido di convertirmi definitivamente. Ho sofferto il freddo, dormendo a dieci gradi sotto zero; la fame e la sete, perché non avevo acqua corrente e la rubavo di notte in una fontana molto distante, ma sono pronto a rimarginare tutte le sofferenze, soprattutto quelle che inevitabilmente sarebbero arrivate di lì a poco.

Perla mi dice che quando mi affideranno un Gohonzon, quella pergamena strana a cui si fa riferimento pregando, tutto si muoverà ancora più velocemente e quando si dice tutto, si intende anche ciò che fa male.

Lo so, le rispondo. Ho studiato a fondo. Ho ascoltato. Ho praticato. Ora devo affrontare gli effetti degli errori. Mi sento forte abbastanza da poterlo fare.


Il Gohonzon arriva a gennaio 2012.

Tienti pronto. Tieni botta. Dice Perla.

Stai tranquilla. Rispondo.

 

I carabinieri mi chiamano a luglio.

Capisco che devono arrestarmi.

Vado dopo aver salutato Perla e porto con me solo il libretto di pratica e lo strano rosario di perline che rappresenta l'uomo come un Budda. Non ho nemmeno tabacco per fumare.

In caserma mi dicono che devono tradurmi in carcere per un anno.


Sono talmente tranquillo e pacato, che ci rimangono male.


Comunque.


Mi prendono le impronte.

Mi fanno le foto con i numeri.

Mettono a verbale i tatuaggi.


Mi comprano il tabacco.

Sì. Lo fanno davvero. Poi mi accompagnano.

Non le mettiamo le manette, non ce n'è bisogno. Dicono.

Passo i primi giorni nella cella d'isolamento in cui anche la televisione è una tortura.

Sbattono porte metalliche e sento grida che arrivano da corridoi nascosti, ma mi hanno lasciato il libretto e continuo a recitare ogni giorno imperterrito. Ringrazio per l'opportunità. Sì. Ringrazio. E' uno dei segreti della pratica. Ringraziare le difficoltà perché ci spingono a realizzare qualcosa e io non butto l'invito. In fondo sapevo bene che sarei arrivato lì, ed essere lì, è anche il principio del nuovo percorso verso la vita. Il karma, quel sacco pieno di sassi, comincia a perdere peso. L'ho strappato e a ogni minuto cade un sassolino.

Scopro che mia sorella Primavera, per quanto arrabbiata per il guaio in cui mi sono cacciato, non mi lascia solo. Chiederà i domiciliari. Non prima di sei mesi però. Così dice l'avvocato.
Non mi perdo d'animo.

Scrivo a Perla. Le racconto ciò che vivo con entusiasmo, perché non c'è terra impura o inferno dove non risieda anche un budda. E io vivo all'inferno. Qui sì. E' davvero il posto in cui vige la legge della animalità, dell'arroganza, dell'autocommiserazione, della prevaricazione. Insomma tutti i mondi più bassi espressi in pochi metri recintati di metallo.

Però il fiore di loto ha le radici nel fango e la corolla candida comunque. Niente lo sporca davvero.

Dormo con assassini e rapinatori, ma in loro vedo l'essenza brillante della vita. Non giudico mai nessuno per i fatti commessi e poco per volta mi si avvicinano. Mi notano recitare Nam myoho renge kyo e qualcuno, dopo avermi dato dello scemo, comincia a farlo con me.

Una delle cose che contano davvero è recitare con gli altri e per gli altri.

Dunque come trasformare questa situazione in qualcosa di positivo e uscire al più presto dalla galera? Fuggire? No, quello è Zorro. Disperarmi? No.

Usare la strategia del Loto? Sì. Ma come si fa qui dentro? Prendere botte è un attimo e ci sono quelli che si tagliano con le lamette, pensando che così cali la tensione. Tutto intorno è inferno vero. Ci sono persone che non riavranno mai il cielo. Qualcuno ha strozzato vecchiette per soldi, qualcun altro è impasticcato e sedato da quando sedici anni prima ha ucciso la mamma malata terminale e la sorella depressa con mazzate in testa mentre dormivano. C'è chi ha disossato la moglie a coltellate di fronte alle figlie, chi ha solo spacciato e chi ha rapinato senza motivo. Difficile vedere spuntare fiori di loto in questo fango, eppure non posso abbandonarmi al riflesso di questo ambiente. Non esiste nulla che non si possa cambiare.

Così continuo ogni giorno a praticare senza paura. Non devo nascondermi. Devo essere io a guidare gli eventi. La strategia è rimanere in piedi in funzione del fango.

«Quando un uccello in gabbia canta, i molti uccelli che volano in cielo si raccolgono tutti immediatamente intorno a lui e, vedendoli, l’uccello in gabbia si sforza di uscire»

(Conversazione tra un santo e un uomo illuminato, RSND, 1, 118). E così è successo: mentre recitavo, una guardia si è avvicinata allo spioncino della porta blindata e ha capito. Era un buddista anche lui.

Da quel momento non ero più solo. Di notte arrivava alla porta e parlavamo. Gli ho regalato un libro per l'esame di primo livello e lui ha telefonato a Perla per dirle che stavo bene.

Non poteva avere riguardi diversi dagli altri detenuti. Ci davamo del lei anche nel silenzio della notte. Non volevo favoritismi, non era giusto e non doveva accadere. Quando arrivava con qualche sigaretta nascosta, la divideva con me e gli altri detenuti.

Qualche cosa si stava muovendo sotto il fango.

Dovevo continuare a dissodare quel terreno.

Il mio compagno di cella, un ragazzone tatuato e rapinatore, comincia a farmi domande, prima sorridendo, prendendomi in giro, poi cercando di capire sempre più. Nel frattempo Perla mi spedisce un paio di libretti per recitare.

 

Fallo con qualcuno. Ti farà bene.


E' accaduto in un attimo. Il ragazzone comincia a leggere e mi chiede di provare.

Il giorno dopo vengo chiamato in ufficio. Mi dicono che il giudice ha approvato le visite mensili di Perla in carcere. Poi l'impiegato mi dice sorpreso: Come ha fatto ad avere il permesso tanto in fretta? Di solito servono dai quattro ai sei mesi e siamo solo agli inizi di Agosto! Un mese solamente?

Sono fortunato. Rispondo.

Chiedo poi delucidazioni alla guardia buddista appena posso, ma risponde che anche volendo, non avrebbe mai e poi mai potuto intercedere. Sono decisioni che passano dalla provincia e ci sono anche indagini interne sulle persone, prima di accettarne le visite. Inoltre davvero non ne sa nulla.

Ok, la richiesta l'ho fatta appena entrato, ma non mi aspettavo che sarebbe arrivata una risposta positiva in così poco tempo.

Il 2 Settembre la guardia buddista mi dice che mi farà incontrare un ragazzo di una sezione diversa durante l'ora d'aria. Accetto, anche se ne ho paura, perché cose di questo genere sono assolutamente vietate. Mi caccerebbero immediatamente in isolamento e la guardia perderebbe il posto. Accetto comunque. Nessuno ha intenzione di fare qualcosa di male e sto portando il fiore di loto tra le mani di una persona all'inferno, mentre già il mio compagno di cella recita con me ogni giorno.

Incontro questo ragazzo. E' giovane e spaventato. Mi chiede del buddismo e gliene parlo. Mi dice che è in gabbia per la seconda volta, ma in questo caso non c'entra. vedo che è sincero. Gli dico di tenere botta. Troppo presto per parlargli di karma e retribuzione karmica. Gli dico solo che non ho mai avuto paura delle celle, né delle persone e che recitando, studiando, approfondendo, capisco ogni giorno un pezzo del senso di tutto. sarebbe successa la stessa cosa anche a lui, se avesse voluto. Gli lascio un libro. Mi promette di leggerlo e di recitare. Finita l'ora, mi chiamano di nuovo in ufficio. Hanno accettato la mia camera di consiglio il giorno 24 di quel mese. Vuol dire in poche parole che incontrerò un giudice a Bologna per discutere se darmi o meno i domiciliari presso una comunità di Ravenna, visto che non ho un tetto. Anche in quel caso l'impiegato mi chiede come ci fossi riuscito, visti i tempi biblici di certe cose.

Sono fortunato. Rispondo, ma so benissimo com'è la storia. La pratica ha inciso l'ambiente. La saggezza acquisita nei due anni precedenti, mi hanno fatto scegliere l'avvocato giovane e con il bisogno di emergere, e "il bisogno" è determinante. Nulla di che, intendiamoci, semplicemente si è mosso in fretta, anche se poi anche lui si stupisce della velocità con cui ha ricevuto risposta.
Il ragazzone rapinatore non sta nella pelle. Ha il sorriso di Biancaneve il giorno che mi chiamano per andare alla camera di consiglio.

Tranquillo Davide. Domani sarai fuori! Reciterò per te!

Non sto a raccontare cosa voglia dire un viaggio ammanettato a un camioncino con la rete da cani.

Non sto a dirvi cosa voglia dire essere ammanettati con tanto di guinzaglio senza occhiali da sole e strattonati tra la gente per tutto il tribunale e nemmeno perdo tempo a dirvi come sia, aspettare il proprio turno dentro una gabbia per animali da circo alla vista di chiunque passi di lì.

Comunque, quando tocca a me, sento che ci chiamano cavalli e precisamente sono quello numero tre.

Entrando sono in un film. Nessun giudice o PM che dica: Ok agli arresti domiciliari. Anzi. Sono proprio arrabbiati!

Uscendo l'avvocato dice che è andata benissimo. Io lo guardo e dico: Ma vaffanculo! Per poco arrestano anche te!

Di solito se il giudice dà l'ok, il fax che avverte i carcerieri di aprire le porte, arriva subito o al massimo nei due giorni posteriori.

 

La prima settimana nulla.

La seconda nemmeno.

Comincio a pensare che non è andata bene. Mi sorgono tutti i dubbi del mondo e la paura di aver perso tempo in una pratica che non funziona.

Sono i demoni che il buddismo descrive come tutto ciò che nell'intimo, vieta di vincere. Ti schierano nel cuore la paura, il dubbio e tante altre cosucce che ti fanno mollare, ma arrivano proprio quando stai per realizzare. E' ciò che fa cadere il campione a un metro dal traguardo: l'ansia da vittoria. Il dubbio di non poter poi sopportare la responsabilità che porta l'obiettivo raggiunto.
Così, capendolo, smetto di disperarmi, ascoltando ogni passo che si avvicina alla porta e continuo il mio viaggio: pratico, leggo, faccio le pulizie e lavoro in cucina.

Scrivo anche incoraggiamenti ai membri del mio gruppo buddista e lettere d'amore a Perla.

Il 24 Ottobre, mentre sono chinato su un foglio pieno d'affetto per lei, una guardia arriva inaspettatamente alla porta.

 

Detenuto Magno?

Sì?
Prepari la sua roba: E' libero!

Come? E' uno scherzo?


Da burbero, mette su il sorriso e risponde: Le pare che scherzi su una cosa così?

Ok. Aspetti. Me lo ripeta bene bene bene!

Detenuto Magno, lei è libero!

A quel punto i miei compagni hanno divelto i materassi preparandomi la borsa delle robe da portare via. Ho fatto il caffè e l'ho passato per le celle. E' tradizione che il liberante lo faccia.

Io e il ragazzone ci siamo abbracciati e guardati negli occhi.


Fai il bravo.

Anche tu!

 

Mentre esco dal cortile qualcuno dalle finestre mi saluta sbattendo cose contro le sbarre. Anche le guardie si fermano a guardare.

Sono rimasto in quell'inferno solo tre mesi e mezzo su dodici che mi spettavano, ma in quel momento, mentre guardavo il luccichio delle forchette e dei cucchiai contro le sbarre per salutarmi, capivo sinceramente cosa volesse dire, crescere tra il fango e brillare comunque.

A ognuno di loro ancora oggi affiderei le chiavi di casa mia e la delega per andare a prendere mio nipote a scuola. Non avrei il minimo tentennamento.

Una volta fuori telefono da una cabina a Perla.

 

Pronto Perla? Sono io!

Io chi?

Sono Magno!

Magno chi?

Senti porca miseria, mi hanno appena liberato e non mi riconosci?
Ma come? Ma che bello!!! Sono talmente frastornata nel sentirti, che nemmeno ti riconosco!!! Ti avevo dato per disperso!!!

Cioè, aspetta. Sei uscito o sei evaso?

Devo andare in comunità entro stasera!

Arrivo subito.

 

Fu un abbraccio lento. Uno di quelli che hanno più senso dentro che fuori.

Mi portò a casa e si fece perdonare con una carbonara condita di baci.

Ero libero. Ancora in viaggio e ancora in salita, ma libero e finalmente potevo camminare in linea retta per più di cinquanta metri. Il sacco del karma pesava poco. Avevo ancora molto lavoro, ma a questo punto, qualsiasi cosa aveva un senso compiuto. Dovevo solo continuare a credere in me stesso qualsiasi cosa fosse successa, e credetemi, di cose ce ne sono ancora tante da raccontare.

 

Ora smettiamo di giudicarci per il passato, ma misuriamo il presente con la voce della speranza, che nel buddismo non è passiva, bensì attiva. Nasce dalle nuove azioni che vogliamo mettere per arrivare alle mete quotidiane o ai grandi risultati in cui speriamo.

E, visto che il mio obiettivo è dirti che sei e sarai sempre meraviglioso nonostante tutto, continuo a raccontarti quale mondo si avvicina di più all'inferno nell'animo degli uomini e a cosa serva. Lo chiamano Avidità.


 

 

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