Quella volta sull'autoscontro

06.12.2014 23:30

 

 

Argenta 1974 d. C.

 

Stasera è festa grossa. Mamma Misses si è messa in ghingheri e, indicando la strada a papà Senior verso la cravatta e la giacca, mi pettina i capelli bionduzzi.

Mi guarda con amore perché non ho starnazzato mentre mi faceva la doccia e il bagno ora non è allagato. Ho mangiato tutta l'insalata. Ho fatto il bravo e quindi merito il premio che aspetto da una settimana: L'autoscontro al luna park!

Sul Cinquino blu entriamo in paese e subito pianto il naso nel finestrino per vedere ogni luce della piazza. E' una figata e l'adrenalina appena sverginata mi salta alle orecchie. Scalpito e spuledro sul sedile. Fatemi uscire! Fatemi uscire!

Senior parcheggia e Misses apre la portiera. Sembro un fiume che esonda quando cede la diga.

L'incontenibilità dei bambini felici è il sorriso del mondo.

Corro come un matto verso l'autoscontro. E' gigantesco. Le macchine colorate vanno a palla. Se sono fortunato, riesco a prendermi quella rossa ferma al bordo!

Misses e Senior comprano due gettoni. Non di più.

Mentre aspettiamo che finisca il giro e io sono tenuto al guinzaglio, arrivano amici di famiglia con il loro figlio Pilàca.

E' un bambino di sei o sette anni come me. Ha imparato a scrivere solo il suo nome, spesso con due elle. Parla dialetto stretto e il suo gioco preferito è assassinare chiunque gli si avvicini.

 

Perfetto.

 

Andate sull'autoscontro assieme. Tieni il gettone!

 

Io preferirei una torta di compleanno alla verdura e si nota da lontano, ma Misses, che quando dà un ordine, è un generale tedesco, non indietreggia di un millimetro.

Mi tocca, punto e basta.

Ok. Penso.

 

Però guido io!

 

Pilàca si siede vicino a me alla sinistra del volante bianco e nero grandissimo.

Finalmente sono in gara! Finalmente guido una macchina! Mamma guarda come sono bravo!

 

Il giostraio Spinge il bottone che dà inizio alla guerra. Sento da sotto la macchina un'ondata di potenza elettrica che mi porta in mezzo alla bolgia di lamiere colorate e paraurti di gomma da affondare.

Giro e rigiro con il naso che spunta appena dal cruscotto e gli occhi iniettati di vendetta. Ingaggio scontri che fanno saltare le macchine dei nemici mentre mi difendo dalle bordate potentissime dei ragazzi più grandi, quelli con la ragazzina di fianco.

Ad ogni colpo, un rumore gelatinoso e sinistro con un lamento soffocato, arriva dal sedile di Pilàca. Quando mi volto, vedo una maschera di lividi, sbucciature e denti da latte sparsi.

Chi cavolo è questo?

E' Pilàca che non ha la minima idea di come si debba stare in guerra sull'autoscontro e ad ogni attacco nemico, si becca una facciata sul cruscotto di rinculo.

 

Tieniti stretto!

 

E intanto ammazzo qualche nemico, ma lui sbatte lo zigomo e poi un altro dente vola sul campo di battaglia.

 

Ok. Cavoli suoi. Io devo combattere e basta!

 

Mentre ho il volante nelle mani, sono il più potente del mondo. Riesco a scaraventare le macchine nemiche, arrivando a palla e di sorpresa dritto sul fianco.

Pilàca invece, le prende tutte come una busta della spesa buttata sul sedile.

Non ho tempo per i vigliacchi. Sono in guerra! Penso.

Poi però, vedo mamma Misses che si sbraccia dalle retrovie e Babbo Senior che mi fa segno con le mani che mi farà un culo così.

 

Ok. Causa forza maggiore, devo battere in ritirata. Sono un eroe comunque!

 

Guarda com'è ridotto il tuo amico! Non potevi stare più attento?

 

Mi volto e Pilàca ha perso un paio di denti, è pieno di lividi e il sangue gli esce dal labbro.

 

Mamma, io sono stato attento. Non vedi che non ho nemmeno un livido?

Ma guidavi tu e non dovevi scontrarti!

 

Ok. Gli adulti non capiscono niente di guerra! E mentre lo penso, vedo Pilàca che, salutandomi con la manina, se ne va.

 

Dopo il cazziatone di Senior. Una buona mezzora di mio silenzio assoluto e un'interminabile visita a bancarelle di robe che non mi interessano, Senior si china verso di me.

 

Non hai sbagliato nulla, però guidavi tu e potevi decidere, mentre Pilàca non poteva e si prendeva tutti gli urti in faccia. Sì. Hai ragione. Poteva almeno mettere le mani sul cruscotto per difendersi, ma non l'ha fatto e ora sente male. Non ti dispiace?

Poco. Però sì.

Ok. La differenza è tutta lì. Tu guidavi e potevi tenerti anche stretto, lui no e se l'è beccate sul muso. Ricordati di questa differenza!

Ok.

Vuoi che ti compri un giocattolo? Piccolo però!

 

E così, dopo la lezione “se guidi tu il mezzo, non ti fai male, mentre il tuo amico si rompe i denti” torno a casa con un fucile a cartuccini da fare invidia a Gion Uein.

Domani a scuola racconterò che Pilàca è uno sfigato e che io ho il fucile. Poi quando sarò grande, metterò la rete elettrica su tutte le strade, così si potrà girare con le macchine da autoscontro e ci si divertirà anche andando a scuola o al lavoro o a fare la spesa. Poi che fine ha fatto l'altro gettone? Magari stasera chiedo a mamma di riportami a fare un giro e non prenderò nessuno con me, tanto Pilàca starà sicuramente in casa e io invece finirò di combattere finché avrò gettoni. Chissà se si può portare il fucile sull'autoscontro? Domani lo chiederò a mamma, ma credo di no.

 

Fuori dalla finestra le stelle si riflettono nel sonno di un bambino che ha imparato a guidare almeno un poco. Uno di quei puledrini che in fondo alla prateria avrà un sacco di vita da raccontare, forse un giorno.

Di certo prima o poi a qualcosa gli servirà, guidare per notti intere senza dormire, per rincorrere un sogno di giovinezza. Forse.

O probabilmente, l'unica vera lezione che dovrà imparare è che quando il mezzo è in mano sua, nulla arriva per caso e tutto può diventare un paraurti di gomma sull'autoscontro della vita.

Sì. Dev'essere questo ciò che racconta la piccola storia del bambino che corre. Non gli è dato di sapere dove arriverà un giorno dopo aver rotto il fiatone e sconfitto i nemici dell'infanzia, ma sicuramente lo ritroveremo non troppo lontano da ogni parola che ha detto e a ogni fosso che ha saltato come se dall'altra parte ripartisse il mondo e anche la sua corsa.

Non prendere fiato e corri. Hai l'infinito davanti. Ricordalo.

 

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