Bisogna essere maestri del proprio cuore, anziché fare del cuore il proprio maestro. (Sutra delle sei Paramita)
Avidità
Tra le primissime cose insegnate da Shakyamuni, c'è il distacco del desiderio come fonte di sofferenza.
Utilizzò questo concetto, in forma propedeutica, per aprire gli occhi ai discepoli sull'impermanenza a cui è soggetta ogni esistenza. Tutto cambia nel tempo e prima o poi, per qualche ragione, si trasforma.
Tutto invecchia e muore; le rocce si plasmano nell'acqua e nel vento fino a divenire sabbia; gli alberi cadono; gli uomini muoiono; le stelle si spengono. Le idee, come l'universo stesso, cambiano ogni giorno. Inutile attaccarsi ossessivamente a qualcosa. Non accettare il distacco o il cambiamento, genera sofferenza.
Quindi, a un esame più profondo, ciò che fa male, non è il desiderare, ma l'attaccarsi a qualcosa, facendone il centro della propria vita.
Accade.
Inutile che fingi di aver letto ciò che succede a qualcun altro. Capita a tutti, io e te compresi.
Il mondo di Avidità è caratterizzato dalla bramosia verso le cose e dall'insoddisfazione perenne.
L'avido compra un auto oggi, e domani ne desidera una ancor più bella e costosa.
Chi vive costantemente nell'avidità, cerca sempre di meglio e lo arraffa come un cane addenta un osso, ma quando raggiunge un obiettivo, talvolta immeritato, o comunque strappato, ne è insoddisfatto e rimette in moto il circolo vizioso in cui vive, soffrendo.
Shakyamuni insegna a non essere avidi e di non attaccarsi a tutto forsennatamente, ma di creare il giusto per noi e per l'ambiente in cui ci troviamo.
Vivere è di per sé desiderio. Non possiamo estirpare ciò che è naturale. Sarebbe una vita vuota e senza sbocchi. Se non desideri, non cresci e non impari.
La curiosità è mossa dalla volontà di capire.
Come si toglie la voglia di diventare grande a un bambino?
Che ne facciamo dei progetti di due ragazzi che si amano?
E' questo il punto: L'uomo desidera; l'avido si attacca. Quindi è l'attaccamento a fare perno nella sua vita e non il desiderio in sé.
In pratica Budda ci insegna un'esistenza piena di obiettivi, ma non ad asservirla ad essi.
Lui stesso dichiara nel capitolo Durata della vita del Tathagata nel Sutra del Loto: Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?
Dunque il desiderio è connaturato anche alla vita più illuminata e recitando Nam myoho renge kyo, come suggerisce Nichiren, riveliamo la buddità contenuta anche nei mondi più bassi. In questo caso, l'avidità si trasforma in attenzione allo spreco e in giusta parsimonia, valorizzando di fatto ogni traguardo raggiunto, ringraziando sinceramente di esserci arrivati e pronti a continuare, ponendo le cause verso obiettivi più ampi e sinceri.
La differenza è sottile, ma c'è.